Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 23 marzo 2008
«YouTube non è solo l’editore più democratico che sia mai esistito ma è anche una finestra su tutta la schifezza umana della nostra epoca, è la nostra anima malata». Buona la prima, disfattista la seconda, male la terza. L’ottimo Francesco Merlo questa frase a effetto deve essersela rimbalzata tra le dita prima di piazzarla in coda a un articolo dal titolo suggestivo quanto perentorio, pubblicato su Repubblica mercoledì scorso: “Il video del destino”. Friedrich Vernarelli, il trentaduenne romano colpevole di aver investito e ucciso due turiste irlandesi con la sua Mercedes follemente lanciata a tutta velocità, due anni fa aveva messo in rete un video in cui – seduto al posto di guida di un’automobile (ferma o in movimento?) – si divertiva a fare boccacce. Da qui l’affondo del giornalista di Repubblica: l’omicidio era premeditato e Vernarelli «si preparava di lì a poco a commettere un omicidio». La prova inconfutabile sarebbe data proprio da quel video, girato due anni prima, magari per riderne con gli amici. Altri indizi: «gli occhiali neri convessi che fanno tanto scarafaggio». Merlo si spinge sino a indicare i mandanti morali: Matrix e i suoi replicanti senz’anima, Ballard e i protagonisti dei suoi romanzi che – assicura – Vernarelli non ha letto ma in qualche modo assimilato. «E infatti ha ammazzato come i bambini che ficcano il dito nella torta per leccarselo». Manca solo la citazione di Stanley Kubrick e Arancia Meccanica e l’analisi sociologica preconfezionata sarebbe completa.
Premessa, d’obbligo. Qui nessuno vuole giustificare il “pirata della strada” né minimizzare l’accaduto: Vernarelli ha sbagliato ed è giusto che paghi. E ci mancherebbe. Tanto più in un Paese come il nostro che rifiuta a prescindere le responsabilità. Un Paese nel quale, per fare un esempio, il candidato premier del Pd si presenta come nuovo facendo finta che al governo non ci sia stato il suo partito e che i disastri generati non lo riguardino. Ma mettere sul banco degli imputati anche YouTube, il popolarissimo sito internet per la condivisione di filmati girati dagli utenti (e la cultura pop in senso lato) è profondamente sbagliato e stucchevolmente moralista. Certo, su YouTube non mancano “contenuti” demenziali. Ma da qui a fare dei “protagonisti” dei video amatoriali dei potenziali assassini ce ne passa. Così come nell’omicidio di Meredith, la giovane studentessa inglese. È stato sufficiente trovare un video online girato chissà quando dal giovane Raffaele Sollecito, mascherato e con un machete in mano, per fare di lui l’assassino perfetto. Prima del processo. Tra i reperti indiziari anche una copia dell'ultimo libro di Harry Potter, in tedesco.
Sì, d’accordo, c’è il pericolo dell’emulazione. Ma l’alternativa qual è: seguire le politiche censorie di altri Paesi o piuttosto dare fiducia ai nostri ragazzi, che magari portano il piercing ma non hanno – metaforicamente – l’anello al naso?
Il bullismo, tanto per sfiorare un argomento confinante, c’è. Da sempre. Ben prima dell'avvento del web, dove è ricorrente in tanti video fai-da-te. Lo si combatte smettendo di parlarne? Ma allora tanto varrebbe chiudere i giornali perché, come riconosce lo stesso Merlo, «YouTube è l’editore più democratico che sia mai esistito». Tanto da ospitare una bella intervista di Klaus Davi a Giulio Tremonti. Il massmediologo è di casa, su YouTube. Intuita la potenza del mezzo, ha dato vita a una vera e propria rubrica politica interamente autoprodotta (a costo zero): Klauscondicio. E grazie al potere seduttivo di internet, al clima informale e meno ingessato della carta stampata, l’ex ministro dell’economia si è finalmente liberato dell’immagine rigida e saccente che certi giornalisti gli hanno cucito addosso e ha confessato: anche lui è stato vittima del bullismo. Giovane matricola nel collegio di Pavia, passava le sue notti chiuso in un armadio, costretto ogni mezz’ora a simulare il bollettino dei naviganti, scandendo il segnale orario. Altrimenti – Merlo non perda tempo a indignarsi, che è storia vecchia – erano botte. E attenzione: non era il secchione antipatico che tutti conosciamo. Copiava e faceva copiare. «Campavo di scambi. Due anni ho avuto esami a ottobre». A quei sadici compagni che lo costringevano a queste e altre vessazioni (caricarsi un armadio sulle spalle) non possono essere riconosciute attenuanti di alcun genere. Di loro non si hanno notizie: magari qualcuno è diventato serial killer o avvocato, stupratore o commercialista. Se solo a quei tempi ci fosse stato internet ne avremmo avuto, tempestivamente e utilmente, un identikit da affidare alle forze dell’ordine. «Di lì a poco» non avrebbero commesso crimini e Tremonti, chissà, non sarebbe diventato ministro del governo Berlusconi. Comunque sia, il politico del Pdl non se ne fa un cruccio, i traumi li ha superati e può dire serenamente: «Non me ne frega un YouTube». E giustifica la sua cravatta arancione con un appello in favore del Tibet: «C’è chi sta dalla parte della Cina che calpesta i diritti umani. Io sto con il Tibet».
Già, siamo tutti tibetani. I più lo dicono sottovoce perché – si sa – siamo veltronianamente “anche” amici della Cina. Troppi interessi economici ci legano, pare. Invece i blogger lo strillano, coraggiosi o incoscienti? E non è un caso che proprio nei giorni scorsi il governo cinese abbia oscurato YouTube. Sul sito erano apparsi video amatoriali che davano notizia della repressione violenta in Tibet, delle manifestazioni popolari e della città di Lhasa in stato d’assedio, presidiata da militari e polizia. Chi volesse accedervi dal territorio cinese trova solo uno schermo bianco e l’indicazione di “errore”. Per la “comunicazione ufficiale” meglio affidarsi ad altri più affidabili siti di video-sharing cinesi: 56.com, youku.com e tudou.com. Visitateli. A oggi non c’è alcuna testimonianza sul genocidio perpetrato in questi giorni. Cautela, quella governativa, dettata dai numeri: in Cina nel 2007 si sono affacciati sulla Rete ben 210 milioni di navigatori (solo meno 5 milioni rispetto agli Stati Uniti) e il governo cinese – che per filtrare tutti i siti già si affida a un formibadile firewall: migliaia di funzionari governativi addetti a scandagliare il web – prepara le contromosse. Per “produrre” video online occorrerà l’autorizzazione governativa. Perché «chi fornisce un servizio di video deve servire il popolo e il socialismo e seguirne il codice morale». Una muraglia che i blogger provano a scavalcare ricorrendo a sofisticati software come Gladder, contrazione di “Great Ladder”, ovvero Grande Scala. Quel che servirebbe, in effetti. Non c’è da meravigliarsi, pertanto, che le uniche immagini mostrate dalla tv cinese riguardino tibetani che assaltano negozi gestiti da cinesi e che danno fuoco ad auto della polizia.
Del resto, non è la prima volta che il sito di video, recentemente acquistato da Google, viene oscurato. Un mese fa è stata la volta del Pakistan. Il sito è rimasto inaccessibile per due ore in quasi tutto il mondo. Non si è trattato di un hacker ma di un pasticcio del governo di Islamabad. L’intento era quello di “spegnerlo” per impedire la proliferazione di «materiale offensivo nei confronti dell’Islam» in Pakistan, ma la censura si è estesa ben oltre i confini nazionali bloccando il sito tout court. In Turchia un tribunale di Ankara ha disposto il black out perché in un filmato sarebbe stato ridicolizzato il grande Ataturk. Le autorità tailandesi hanno anch’esse oscurato il sito a causa di un video offensivo nei confronti del re Bhumibol Aduiyadej. E prima ancora contro YouTube, giusto per citarne alcuni Paesi, erano intervenuti il Brasile, l’Iran, il Marocco, la Birmania e la Siria. In Vietnam il problema è stato risolto alla radice: l’accesso a internet è limitatissimo.
E la stessa “diffidenza” c’è nei confronti dei blogger. Pochi giorni fa, dopo un processo durato cinque minuti, un blogger egiziano di 22 anni, conosciuto online con lo pseudonimo di Karim Amer (foto a destra), è stato condannato a quattro anni di prigione: tre per aver offeso l’Islam e uno per aver insultato il presidente Hosni Mubarak. Uno dei tanti: i “cyberdissidenti” imprigionati nel mondo – secondo i numeri forniti da Reporter sans frontières, associazione che, al riguardo, ha presentato due settimane fa una Guida pratica del blogger che spiega come creare un blog e soprattutto fare in modo di sfuggire alla censura – sono sessantatre. Perché? Le accuse più diverse: da quella di riprodurre materiale sovversivo e immorale a quella di ridicolizzare i governanti. Ma molto più probabilmente il motivo è un altro: i bloggers, così come gli utenti di YouTube, hanno l’ambizione di dire la loro, di intervenire, di partecipare. Tanto che la grande mobilitazione per il Tibet – il cui dramma è stato denunciato su YouTube – trova nei blogger un vastissimo passaparola che rimbalza da una parte all’altra nel mondo, specialmente tra i giovani. Analogo ruolo attivo lo ebbero i blogger nel denunciare la repressione delle proteste in Birmania nell’estate del 2007. I blog hanno rappresentato e rappresentano, soprattutto in Paesi dove non c’è un’effettiva libertà di stampa, una fonte di informazione indispensabile.
In YouTube non c'è solo il gusto – pienamente legittimo, in democrazia – dello sberleffo verso il potere. YouTube è uno strumento politico, perché rendere di pubblico dominio certe manifestazioni di violenza significa fare politica e farla con la forza delle immagini. Ma non è solo questo. Fondato nel febbraio 2005 da Chad Hurley, Steve Chen e Jawed Karim – ex dipendenti di PayPal e tutti e tre men che trentenni (nella foto)– You Tube è diventato in tre anni il sito internet con il tasso di crescita più imponente del pianeta. Ogni giorno vengono visualizzati oltre 100 milioni di video e ogni ventiquattro ore vengono aggiunti oltre 80.000 nuovi filmati per un totale di più di 20 milioni di visitatori al mese. Perchè la consultazione del web non ha più come unica motivazione la necessità di trovare informazioni o risposte a esigenze particolari. Con i video di YouTube l’intrattenimento è dimensione non secondaria, la navigazione non finalizzata all’apprendimento ma alla condivisione di esperienze e emozioni. È grazie a siti come YouTube, ma che Flickr (per le immagini), MySpace, Bebo, Facebook, Blogspot.com e agli altri social network che i giovani hanno più motivazioni per stare in Rete. È un luogo dove possono esercitare la loro creatività senza filtri realizzando un processo identitario. Giovani (e meno giovani) che si confrontano con la modernità, che la plasmano a loro immagine e somiglianza. Musicisti in erba che mettono online i loro video, aspiranti registi che azzardano qualche rozzo cortometraggio (di fattura a volte anche notevole). Si tratta di milioni di esibizionisti? Forse ce n’è una piccola minoranza. Per il resto è una palestra strepitosa per milioni di ragazzi che non si rassegnano a subire passivamente il palinsesto televisivo, che piuttosto che ridursi a fare zapping tra trasmissioni tutt’altro che educative o quanto meno appassionanti, possono pescare a piene mani in un archivio musicale (e non solo musicale) di dimensioni enormi e in continuo accrescimento, vero e proprio archivio dell’immaginario individuale e collettivo. Facendosi guidare semplicemente dal proprio gusto e non da un direttore di rete o da quei giornalisti esperti in mode giovanili che Pier Vittorio Tondelli giustamente disprezzava spronando i giovani a non dar loro ascolto, a esprimersi, a trovare da soli la propria via. YouTube non è né vuole essere un’alternativa alla televisione né un cattivo maestro, rappresenta – semmai – un’alternativa alla più moderna forma di suicidio di massa: la playstation.
4 commenti:
Concordo perfettamente con la tua analisi lucida e dettagliata. Quest'articolo a mio modesto parere, è in assoluto uno dei più belli che abbia letto nel corso dell'anno. Complimenti. Ne manderei una copia per ogni governrnante del Pianeta Terra, non solo in Cina.
Bell'articolo. Racchiude gran parte della mia opinione su youtube, blog, etc.
Non so se avete mai visto questo filmato su youtube, appunto....
http://www.youtube.com/watch?v=jOsFmUzHGf0
Adesso lo vedranno tutti. Io ero in trasmissione ..
La cina non dovrebbe far altro che alzare la sua muraglia di altri 100 metri, metterci su una bella cupola (di vetro, così filtra il sole), e finire di chiudersi al mondo, produrre per se stessa, farsi le proprie "olimpiadi cinesi" e non rompere più il cazzo al mondo intero. Altro che esportarci la democrazia.
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