Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 16 marzo 2008
Altro che ispettore di polizia per fiction, Pietro Taricone non lo vogliamo sullo schermo, piccolo o grande che sia. Intendiamoci, è bravo. Paradossalmente perché non recita: interpreta se stesso. Per questo lo vedremmo bene al Viminale. Un ministro dell’interno scamiciato e irregolare. Incazzato e determinato come l’abbiamo ritrovato in occasione della presentazione de La nuova Squadra, serie televisiva di successo giunta alla nona stagione ma ridisegnata ex novo per esaltare i tratti da giustiziere sui generis del nostro, finalmente protagonista nei panni – nella divisa, per l’appunto – dell’ispettore Vito Sorrentino. Un Taricone “interventista”: «perché la fiction non può limitarsi all’intrattenimento. Spero che decidano presto cosa vogliono fare di questo prodotto, possibilmente facendone un mezzo per dire cose precise, prendere posizioni nette. Il fatto è che noi giriamo tutti i giorni in mezzo a spazzatura e a problemi d'ogni sorta. Perché non approfittare per far conoscere dei veri problemi di Napoli?».
E allora perché no? Taricone ministro. Dal 15 aprile. Del Pdl, naturalmente, ché con questa sinistra buonista e politicamente corretta uno come lui – «idealista di destra per aver letto Nietzsche alla dannunziana» – non ci azzecca niente.
Sì, parliamo proprio dell’ex “guerriero” della prima edizione del Grande Fratello: il reality per eccellenza (chiedendo scusa per l’ossimoro). Un’esperienza che Pietro non rinnega: «Avevo fatto tanti concorsi per entrare ovunque, in polizia, in Comune, pure un provino per Nino D’Angelo, ma l’unico posto dove mi hanno preso è stato il Grande Fratello». Malgrado molti continuino a ritenerlo un peccato originale. E, come tale, una macchia incancellabile. Chi? «Quelli dello star-system, gli sfigati, i comici di seconda categoria, le soubrettine, quelli che mi boicottano perché temono di dover scendere dall’autobus. Le intellettuali. Le giornaliste. Taricone è molto Italy… Little Italy… non è trandy». Diciamolo chiaramente: brutta bestia, l’invidia. La sua è stata una delle più clamorose esplosioni mediatiche nella storia della tv. Uscito dalla “casa”, al Maurizio Costanzo Show in versione Uno contro tutti ottenne un picco d’ascolti di 10 milioni di telespettatori. Un botto. E da perfetto self-made man è stato capace di capitalizzare la popolarità ottenuta senza ridursi a fare l’ospite di professione con tanto di “trenino” a Buona domenica, imbarazzante limbo dei senza talento nel quale sopravvivono tuttora, sbranandosi a comando per far godere un pubblico annoiato quanto poco esigente, gli altri reduci delle varie edizioni del GF. Consapevole di non avere niente di particolare da dire: «Non sono un intellettuale. L’atteggiamento bullesco serviva proprio a questo, a tutelare la mia intelligenza». Possiamo dirlo: tutelata e messa a frutto. Il rischio di fare la fine del marziano di Ennio Flaiano c’era: lasciarsi inghiottire dalla città tentacolare e venirne sputato fuori dopo pochi mesi. E invece no. Da amministratore di condominio e studente svogliato si è fatto scrupoloso imprenditore di se stesso. Dalle prestazioni erotiche a telecamere aperte (che tanto indignarono le femministe) con la concorrente Cristina Plevani (maltrattata dal nostro ma vincitrice di quella prima edizione) ad attore professionista coccolato dai grandi registi. Tanto da vantare già piccoli ruoli in diverse pellicole importanti: Il segreto del successo di Massimo Martelli, Ricordati di me di Gabriele Muccino e Radio West di Alessandro Valori (sul cui set ha conosciuto la moglie: la bellissima attrice polacca Kasia Smutniak). Più recentemente l’abbiamo visto in Maradona, la mano de Dios di Marco Risi, in cui interpreta il pusher del campione argentino, e in tv accanto a Alessandro Gassman in Codice Rosso, fiction sul mondo dei vigili del fuoco. Da «imbucato televisivo», per la felice definizione del giornalista e conduttore televisivo Gianluca Nicoletti, o «figurante di lusso», come si scherniva lui stesso con ruspante autoironia, a espressione compiuta di quelli che Filippo Rossi, coordinatore editoriale della Fondazione FareFuturo – riferendosi espressamente a Taricone – ha chiamato «i nuovi eroi postideologici: non retorici, antimoralisti, sfacciatamente individualisti, buoni ma non buonisti». Vagamente reazionari come il Taricone di oggi, rifugiatosi con la famiglia nella splendida tenuta di Campagnano per «coltivare la terra». Affascinati dalla tradizione ma declinandola nella modernità. Dalla passione per i cavalli a quella per la Triumph Speed Triple, «la stessa moto di Tom Cruise in Mission impossible Two».
«La cultura c’est moi». Del resto così parlò il Zarathustra casertano – palestrato sì, ma di buone letture tutt’altro che convenzionali – strappando il Telegatto 2001 a un indignato Alessandro Cecchi Paone. Singolar tenzone: cultura pop contro cultura alta. «Cosa c’entra la Macchina del tempo con la cultura? Totò è cultura – comiziava il nostro dichiarando guerra all’establishment televisivo – Cecchi Paone è vecchio. Quei leoni sono dieci anni che stanno lì a ruggì. Quei ghepardi sono sempre gli stessi che inseguono e se magnano sempre la stessa gazzella». Meglio, mille volte meglio, Nietzsche e Mishima, «il superuomo e la via del samurai». Una vera passione, quella per il filosofo tedesco: «Non bisogna pensare al superuomo come a quello muscoloso – spiegava ai suoi “coinquilini” – il superuomo era l’uomo che creava valori, anzi creava il ponte tra la bestia e il superuomo». Che poi la filosofia risultasse utile anche per rimorchiare è un altro discorso, non secondario: «Il periodo in cui era di moda fare l’intellettuale sapevo a memoria Hegel, Kant e i filosofi greci. Funzionava. Donna, panta rei, tutto scorre». Ancora: meglio andare a cena con Ezio Greggio che con Michele Santoro. Pillole di quel “Taricone-pensiero” che l’ha reso un personaggio. Eccessivo, a volte troppo sopra le righe, sicuramente viscerale. Si classificò terzo ma dai più venne ritenuto il vincitore morale di quella prima edizione del GF. Tutti a cercarlo facendo zapping con il telecomando ma lui seppe defilarsi sapientemente da un mondo che aveva deciso di usare senza lasciarsi usare: «La tv ti rende ipocrita. Del resto, basta guardare a questa schifezza di melassa spalmata sui palinsesti. Alla fine siamo in Italia, c’è il Vaticano, il buonismo e compagnia bella. Tutti fanno i buoni, i commossi, pure se dentro hanno un egocentrismo allucinante e ucciderebbero la madre per farsi notare».
E adesso ce lo ritroviamo nella parte tutt’altro che edulcorata dell’ispettore Vito Sorrentino, un buono che però prima ti prende a pugni, poi ragiona. «Uno che crea abbastanza casini, non ha l’elenco delle risposte pronte, è un sano confuso. E vorrei che di lui rimanesse questa profonda confusione, il continuare a porsi delle domande. Non mi piacciono quei personaggi che non hanno mai un briciolo di dubbio e hanno in tasca la risoluzione del problema». La squadra è quella dei “Falchi”, barba incolta e, come dicevamo, cazzotto facile. Sempre pronti a saltare su una moto e lanciarsi all’inseguimento dei cattivi. E chissenefrega di perdere tempo a indossare il casco se c’è da combattere contro corrotti e delinquenti. «Perché questo tipo di poliziotto è uno che sta alla pari, è uno che sa attraversare cento vite senza tenersene almeno una, è uno che sa dove mettere gli artigli. Siamo brutti da fare schifo ma funzioniamo. Il falco, infatti, è un vichingo. È quello che decide». Nel ruolo di Sorrentino, Taricone s’è gettato a capofitto. Niente a che vedere con «l’attore istituzionale che in Italia è un impiegato: oggi è a recitare e domani potrebbe stare a lavorare all’Enel». I suoi modelli di riferimento sono altri: «le performance fisiche come quella di De Niro in Toro scatenato di Scorsese». Non a caso i suoi miti giovanili sono Bruce Lee, Bud Spencer e Silvester Stallone: «Personaggi importanti nella mia vita. Io avevo gli occhiali a goccia perché ce li aveva Cobra: “Tu sei il male e io la cura”. “Dove la legge si ferma, qui comincio io”».
E allora perché no? Taricone ministro. Dal 15 aprile. Del Pdl, naturalmente, ché con questa sinistra buonista e politicamente corretta uno come lui – «idealista di destra per aver letto Nietzsche alla dannunziana» – non ci azzecca niente.
Sì, parliamo proprio dell’ex “guerriero” della prima edizione del Grande Fratello: il reality per eccellenza (chiedendo scusa per l’ossimoro). Un’esperienza che Pietro non rinnega: «Avevo fatto tanti concorsi per entrare ovunque, in polizia, in Comune, pure un provino per Nino D’Angelo, ma l’unico posto dove mi hanno preso è stato il Grande Fratello». Malgrado molti continuino a ritenerlo un peccato originale. E, come tale, una macchia incancellabile. Chi? «Quelli dello star-system, gli sfigati, i comici di seconda categoria, le soubrettine, quelli che mi boicottano perché temono di dover scendere dall’autobus. Le intellettuali. Le giornaliste. Taricone è molto Italy… Little Italy… non è trandy». Diciamolo chiaramente: brutta bestia, l’invidia. La sua è stata una delle più clamorose esplosioni mediatiche nella storia della tv. Uscito dalla “casa”, al Maurizio Costanzo Show in versione Uno contro tutti ottenne un picco d’ascolti di 10 milioni di telespettatori. Un botto. E da perfetto self-made man è stato capace di capitalizzare la popolarità ottenuta senza ridursi a fare l’ospite di professione con tanto di “trenino” a Buona domenica, imbarazzante limbo dei senza talento nel quale sopravvivono tuttora, sbranandosi a comando per far godere un pubblico annoiato quanto poco esigente, gli altri reduci delle varie edizioni del GF. Consapevole di non avere niente di particolare da dire: «Non sono un intellettuale. L’atteggiamento bullesco serviva proprio a questo, a tutelare la mia intelligenza». Possiamo dirlo: tutelata e messa a frutto. Il rischio di fare la fine del marziano di Ennio Flaiano c’era: lasciarsi inghiottire dalla città tentacolare e venirne sputato fuori dopo pochi mesi. E invece no. Da amministratore di condominio e studente svogliato si è fatto scrupoloso imprenditore di se stesso. Dalle prestazioni erotiche a telecamere aperte (che tanto indignarono le femministe) con la concorrente Cristina Plevani (maltrattata dal nostro ma vincitrice di quella prima edizione) ad attore professionista coccolato dai grandi registi. Tanto da vantare già piccoli ruoli in diverse pellicole importanti: Il segreto del successo di Massimo Martelli, Ricordati di me di Gabriele Muccino e Radio West di Alessandro Valori (sul cui set ha conosciuto la moglie: la bellissima attrice polacca Kasia Smutniak). Più recentemente l’abbiamo visto in Maradona, la mano de Dios di Marco Risi, in cui interpreta il pusher del campione argentino, e in tv accanto a Alessandro Gassman in Codice Rosso, fiction sul mondo dei vigili del fuoco. Da «imbucato televisivo», per la felice definizione del giornalista e conduttore televisivo Gianluca Nicoletti, o «figurante di lusso», come si scherniva lui stesso con ruspante autoironia, a espressione compiuta di quelli che Filippo Rossi, coordinatore editoriale della Fondazione FareFuturo – riferendosi espressamente a Taricone – ha chiamato «i nuovi eroi postideologici: non retorici, antimoralisti, sfacciatamente individualisti, buoni ma non buonisti». Vagamente reazionari come il Taricone di oggi, rifugiatosi con la famiglia nella splendida tenuta di Campagnano per «coltivare la terra». Affascinati dalla tradizione ma declinandola nella modernità. Dalla passione per i cavalli a quella per la Triumph Speed Triple, «la stessa moto di Tom Cruise in Mission impossible Two».
«La cultura c’est moi». Del resto così parlò il Zarathustra casertano – palestrato sì, ma di buone letture tutt’altro che convenzionali – strappando il Telegatto 2001 a un indignato Alessandro Cecchi Paone. Singolar tenzone: cultura pop contro cultura alta. «Cosa c’entra la Macchina del tempo con la cultura? Totò è cultura – comiziava il nostro dichiarando guerra all’establishment televisivo – Cecchi Paone è vecchio. Quei leoni sono dieci anni che stanno lì a ruggì. Quei ghepardi sono sempre gli stessi che inseguono e se magnano sempre la stessa gazzella». Meglio, mille volte meglio, Nietzsche e Mishima, «il superuomo e la via del samurai». Una vera passione, quella per il filosofo tedesco: «Non bisogna pensare al superuomo come a quello muscoloso – spiegava ai suoi “coinquilini” – il superuomo era l’uomo che creava valori, anzi creava il ponte tra la bestia e il superuomo». Che poi la filosofia risultasse utile anche per rimorchiare è un altro discorso, non secondario: «Il periodo in cui era di moda fare l’intellettuale sapevo a memoria Hegel, Kant e i filosofi greci. Funzionava. Donna, panta rei, tutto scorre». Ancora: meglio andare a cena con Ezio Greggio che con Michele Santoro. Pillole di quel “Taricone-pensiero” che l’ha reso un personaggio. Eccessivo, a volte troppo sopra le righe, sicuramente viscerale. Si classificò terzo ma dai più venne ritenuto il vincitore morale di quella prima edizione del GF. Tutti a cercarlo facendo zapping con il telecomando ma lui seppe defilarsi sapientemente da un mondo che aveva deciso di usare senza lasciarsi usare: «La tv ti rende ipocrita. Del resto, basta guardare a questa schifezza di melassa spalmata sui palinsesti. Alla fine siamo in Italia, c’è il Vaticano, il buonismo e compagnia bella. Tutti fanno i buoni, i commossi, pure se dentro hanno un egocentrismo allucinante e ucciderebbero la madre per farsi notare».
E adesso ce lo ritroviamo nella parte tutt’altro che edulcorata dell’ispettore Vito Sorrentino, un buono che però prima ti prende a pugni, poi ragiona. «Uno che crea abbastanza casini, non ha l’elenco delle risposte pronte, è un sano confuso. E vorrei che di lui rimanesse questa profonda confusione, il continuare a porsi delle domande. Non mi piacciono quei personaggi che non hanno mai un briciolo di dubbio e hanno in tasca la risoluzione del problema». La squadra è quella dei “Falchi”, barba incolta e, come dicevamo, cazzotto facile. Sempre pronti a saltare su una moto e lanciarsi all’inseguimento dei cattivi. E chissenefrega di perdere tempo a indossare il casco se c’è da combattere contro corrotti e delinquenti. «Perché questo tipo di poliziotto è uno che sta alla pari, è uno che sa attraversare cento vite senza tenersene almeno una, è uno che sa dove mettere gli artigli. Siamo brutti da fare schifo ma funzioniamo. Il falco, infatti, è un vichingo. È quello che decide». Nel ruolo di Sorrentino, Taricone s’è gettato a capofitto. Niente a che vedere con «l’attore istituzionale che in Italia è un impiegato: oggi è a recitare e domani potrebbe stare a lavorare all’Enel». I suoi modelli di riferimento sono altri: «le performance fisiche come quella di De Niro in Toro scatenato di Scorsese». Non a caso i suoi miti giovanili sono Bruce Lee, Bud Spencer e Silvester Stallone: «Personaggi importanti nella mia vita. Io avevo gli occhiali a goccia perché ce li aveva Cobra: “Tu sei il male e io la cura”. “Dove la legge si ferma, qui comincio io”».
La location della fiction, prodotta dalla Rai, è sempre Napoli. Non più quella dalla periferia ma Spaccanapoli, il centro della città. 22 puntate per 44 episodi. La prima serata – mercoledì 12 marzo – è andata benone: un più che dignitoso 10% di auditel strappato agli assalti della corazzata schiaccia-ascolti di Maria De Filippi: la collaudatissima trasmissione Amici. E sempre mercoledì scorso Everton e Fiorentina si giocavano l’accesso ai quarti di finale della Coppa Uefa: una delle più belle partite degli ultimi anni. La Fiorentina è passata ai rigori e Taricone e i suoi falchi sono pronti per mercoledì prossimo. Per affrontare il pubblico la serie, rispetto alle precedenti stagioni, ha cambiato pelle. Nuovi gli sceneggiatori e gran parte del cast, il format è dichiaratamente ispirato a The Shield, il famoso poliziesco americano, anche se non manca di strizzare l’occhio alle atmosfere “dure e crude” del Fight Club di Palahniuk. Neanche a farlo apposta uno degli autori preferiti di Taricone. Meno spazio ai dialoghi, ridotti all’osso, più scene girate in esterni e ritmi incalzanti per storie in cui la finzione si mischia a una attualità che a Taricone proprio non piace.
Le responsabilità del degrado della Campania? «Sono di una politica che ha minato l’idea stessa della rappresentatività. I De Mita, i Mastella, ma anche i Bassolino. Pensate al governatore. Me lo andavo ad ascoltare nei comizi da ragazzino: due ciglia grosse così, la spalla ‘ncarcata, l’eloquio sovietico. L’altra sera ero in una di quelle magnifiche pizzerie napoletane, una di quelle dove infornano solo la margherita e la marinara, un locale pieno di fotografie con Totò, Eduardo De Filippo, Massimo Troisi (c’ero pure io sul muro, bontà loro). Il proprietario esce dalle cucine, si para davanti alla parete, scova la foto di Antonio Bassolino e dice: “Questa mi sa che la devo levare”».
Praticamente un manifesto politico, quello di Taricone. Pronto per il salto nella grande politica. Esageriamo? Forse. Sicuramente meno di Curzio Maltese, che lo paragonò a Norberto Bobbio. O di Max Biaggi, che per sottolinearne l’autenticità – «è riuscito a usare la propria simpatia trasmettendola al pubblico senza timore, non curandosi di sbagliare verbi o vocaboli, usando il dialetto, che fa parte di se stesso, della sua cultura e della sua vita» – scomodò persino il mito di Alberto Sordi. Del resto la passione per la politica in Taricone è antica: «Sono cresciuto a pane e politica – ha raccontato – seguendo zio Vittorio di Trasacco nei comizi sin da quando ero un ragazzino». Di destra, senza complessi. «Sì, di destra – ebbe a confessare a Claudio Sabelli Fioretti – la sinistra la vedevo femminea. Candy Candy mi sembrava di sinistra, Goldrake e Big Jim di destra. Fini mi piace, ero innamorato di lui. E di Berlusconi. E poi – concluse – se a Porta a Porta ci vanno Alba Parietti e Sabrina Ferilli, pur’io posso parla’ di politica, porca vacca». Già, ma dalle parole bisogna passare ai fatti. Come si diceva un tempo: dalla protesta alla proposta. Di questo ne è convinto: «E poi più se ne parla più si depotenzia l’efficacia di una denuncia, ma questo non succede solo con Gomorra e l’impegno antimafia, succede anche con l’antipolitica, più va avanti la bizzarria di Beppe Grillo, più perde di efficacia la virulenta e sana reazione dell’antipolitica. Ci sarebbe da andare in giro sulle camionette, bussare porta dopo porta e svegliare tutti». Per ora Taricone sembra concentrato su altro. «Fino a giugno gireremo sei giorni a settimana, per dieci ore al giorno. Ma troverò il tempo per fare anche la fiction di Raiuno Questo è amore, diretta da Riccardo Milani». La politica aspetterà, il Viminale chissà.
Articolo disponibile anche su L'eminente dignità del provvisorio
3 commenti:
Ciao Roby, articolo come tuo solito molto accattivante. " Vota Pietro" è il risultato. Meglio, molto meglio, di una buona parte della pseudofantapolitica italiana
E poi è trasaccano d'origine... :)
Ciao Fra'.
Ruzz ! ..
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