venerdì 7 dicembre 2007

virtual life


foto di Francesco Scipioni


Rovistò nelle tasche del vecchio soprabito cercando le chiavi. Tirò fuori un pacchetto di sigarette, il cellulare scarico, una manciata di scontrini ed infine riuscì a mettere le dita sulle chiavi. Il metallo freddo gli diede un certo fastidio al contatto con le falangette spellate dal suo continuo rosicchiarsi le unghie. Sbloccò le tre serrature di sicurezza, si diede una sistemata ai capelli bisunti, si infilò gli occhiali-schermo, gli auricolari, i guanti sensoriali e, sospirando profondamente, entrò in casa. Gli si fecero incontro correndo i suoi tre meravigliosi bambini.La casa era pervasa da un invitante odorino di arrosto. “è arrivato papà, è arrivato papà” urlavano felici i tre pargoletti e prendendolo per mano lo scortarono in cucina. Si affacciò quasi tremante e si trovò di fronte la sua bellissima moglie che con i guanti imbottiti teneva un succulento pollo su un vassoio d’acciaio lucidissimo. “Ciao amore” le sussurrò lei con malcelata malizia, avvicinandosi al suo orecchio destro e quel leggero alito profumato lo fece trasalire. I bambini lo aiutarono a sfilarsi il cappotto di cachemire e lo accompagnarono a tavola. Sua moglie uscì dalla cucina con il vassoio in mano, affascinante ed elegante come non mai e lui, guardandosi intorno in quell’ accogliente sala da pranzo, fu commosso da quella meravigliosa atmosfera familiare che preannunciava una serata coi fiocchi. L’odore dell’arrosto insieme a quello dei fiori freschi nei vasi della sala lo stordivano al punto che pensò di non meritare tutto quel ben di Dio. La vita sembrava essere stata molto generosa con lui. Guardò per un’ ultima volta la felice famiglia riunita ed una lacrima inaspettata si affacciò dai suoi occhi. Chinò la testa e giunse le mani quasi a voler pregare. La lacrima stillò cadendo direttamente sugli occhiali-schermo insinuandosi tra il vetro e la montatura. La soluzione salina andò a bagnare i microchips che cominciarono a cortocircuitare. Sentì un leggero odore di plastica bruciata e di colpo, con un bip, si fece buio. Rimase fermo col capo chino per qualche minuto. Il buio era tornato nella sua vita solitaria. Si sfilò i guanti, tolse gli auricolari ma aspettò ancora qualche minuto prima di togliersi gli occhiali-schermo. Poggiò le mani sul tavolo col palmo rivolto in basso. Il tavolo ora era freddo e ruvido, tastò per un po il piano in fòrmica tutto rovinato e mestamente ammise di riconoscere la sua realtà. Avrebbe dovuto comprare il modello di occhiali impermeabile, ma costavano troppo di più. Aveva risparmiato sul modello ma non sulla varietà di situazioni che poteva sviluppare anche se alla fine aveva finito con l’affezionarsi a quella famiglia che aveva visto poco prima. Tolse gli occhiali. Dalla finestra filtrava la luce delle insegne al neon della strada e la luce dei fari delle auto passava la stanza come uno scanner. Si guardò intorno e seguendo la scansione gli si presentarono tutte le suppellettili. Erano mesi che non le vedeva perchè in casa usava sempre gli occhiali virtual-family. I produttori raccomandavano di non farne un uso intensivo per non perdere troppo il contatto con la propria vita ma alienarsi da quella realtà di merda era proprio quello che lui desiderava. E di merda era l’aria che si respirava in casa. Arricciò il naso raggiunto da una puzza improvvisa e terribile. La spazzatura era lì da buttare chissà da quanto tempo ed il sacco sembrava muoversi, dotato di vita propria. Il rumore eterno, costante del traffico lo colse di sorpresa svegliandolo totalmente da quel torpore in cui era rimasto. Era ancora seduto, con le mani sul tavolo. Scosse la testa e si alzò di scatto deciso a liberarsi da quel fetore. Si infilò il sudicio soprabito e prese la spazzatura. Eppure era abituato alla puzza del mattatoio dove lavorava, alla nebbiolina umida e appicicosa che veniva fuori dalle bestie squartate e appese nell’enorme laboratorio. Le interiora dei bovini puzzavano come poche cose al mondo ma era un odore particolare, caldo che ti si appiccicava su per le narici, sulle mucose e che ti portavi a casa sempre, ogni sera. Avrebbe desiderato infilarsi lo spazzolino da denti su per il naso e grattare per ore pur di rimuoverlo. Non aveva ancora elaborato un pensiero da quando si era spento lo schermo ma una volta ripreso pienamente contatto con la mesta realtà gli occhi si riempirono di nuovo di lacrime, e stavolta non di gioia. Si ritrovò immerso in quella vita che aveva disperatamente cercato di cambiare ma che gli si era crudelmente presentata come un pantano in cui era rimasto piantato. Si ritrovò in quel futuro così diverso da come lo aveva immaginato da ragazzo così dannatamente duro e solitario che la puzza della spazzatura rappresentava l’odore della sconfitta. Niente profumi preziosi, ne odori di manicaretti succulenti ma solo l’odore straziante della solitudine che sa di mozziconi di sigaretta bruciacchiati e dei piatti monoporzione riscaldati al microonde. Né il dolce suono della voce dei suoi bambini mai nati o della moglie mai avuta, ma solo il sottofondo costante del traffico della sopraelevata a pochi metri dalla finestra: un rombo continuo, incessante, snervante ma era anche l’unico suono a tenergli compagnia e che gli evitava di sentirsi nelle orecchie il battito del suo cuore quando cercava di dormire. Aprì la porta con il sacco in mano. Il sudicio corridoio gli si parava davanti più lungo che mai e l’ascensore non era mai sembrato così lontano. Il sacco diventava ad ogni passo più pesante. Passò davanti a decine di porte e da ognuna di esse usciva fuori una traccia di vita: voci, odori, rumori lo investivano in maniera quasi dolorosa. Ogni appartamento un pianeta, un mondo a parte. Sentiva voci in lingue diverse e, visto che era ora di cena una moltitudine di odori lo circondavano: aglio, cuscus, ragù, arrosto. Dovette prendere il sacco con tutte e due le mani, tanto era diventato pesante. Musica, canti, risate....tutto in venti metri di corridoio. E tutta quella vitalità lo faceva sentire ancora più solo. Il sacco ormai pesava cento chili e non c’era altro modo di portarlo fuori se non trascinandolo.................
continua (forse)

6 commenti:

Francesco Panella ha detto...

Molto accattivante, ed originale. Che roba é ?

francescoscipioni ha detto...

è u7no dei tanti raccontini che scrivo alla fine della giornata.

PAOLA ha detto...

una comunita' di scrittori i francesco di avezzano

Urbano ha detto...

Interessante davvero .... i mie complimenti FRA ... appena sarò da quelle parti ti chiamerò :) e dovrai sopportarmi un po'.

Francesco Panella ha detto...

Me rubi pure il mestiere .. continua a fare foto che é meglio .. hi hi hi. A parte gli scherzi mi piacerebbe che lo continuassi. Ho in mente una cosa. Per Urb, FRA é in possesso del Magnum, non della pistola, ma del volume, se vuoi sbirciare un pò, penso non sia un probelma per lui farti visionare qualche pagina ..

francescoscipioni ha detto...

x urbano: quando vuoi.